La prima cronometro

“Parti a tutta, poi aumenta e, alla fine, fai la volata”. Fu la prima volta che misi un numero sulla schiena. Con le spille, niente body, maglia tenuta un po’ più stretta e bicicletta da corsa.Mi ci volle iscrivere l’amico Gianni, uno che aveva corso, fino a essere un buon dilettante, con Moser e altri di cui mi raccontava fatica e sudore. Aveva visto, chissà, la tenacia nel pedalare per tanti chilometri con la bicicletta troppo pesante. Era una corsa niente di che, aperta ai non tesserati come ero io (o forse avevo la tessera da cicloturista). Però avevo letto tutto sulle cronometro, nei giornali che potevo. Spiccava quella frase, che diceva di dare tutto.

Sembrava quasi facile. Unita alla minaccia dell’amico Gianni (guai ad arrivare fresco alla fine di una crono, vuol dire che potevi fare meglio) la presi talmente sul serio che partii davvero a tutta, avvantaggiato anche da una leggera discesa iniziale. Ma così a tutta che dopo poco ero già bello che finito.

Non ricordo la distanza, ma ho stampata dentro quella sensazione di gambe molli e annebbiamento che, unite alla coscienza di essere ancora lontano dal traguardo, si tramutarono in mortificazione e spavento. Continuai per inerzia, spingendo quanto più potevo, bocca spalancata e secca, gambe di spugna. Mi fruttò, per quel che poteva valere, un terzo posto disperato.

Questo è il 52 di quella volta che mi è tornato nelle mani assieme al ricordo. Non era ancora così consumato.

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