Smart working? Moderate i termini

Leggo dall’Ansa:
“Le amministrazioni pubbliche, vista anche l’emergenza legata al Coronavirus, sono invitate a incentivare lo smart working e se non ci sono abbastanza computer o comunque c’è “indisponibilità o insufficienza di dotazione” allora il dipendente “che si renda disponibile” può anche utilizzare “propri dispositivi” come pc o tablet”

Ora, tutto bello tutto vero, stiamo avendo in Italia una spinta tecnologica in questi giorni come non è avvenuto negli ultimi 10 anni di chiacchiere. Vedo contatti non solo di lavoro che scoprono Telegram e Signal, ad esempio, le scuole ragionano sulle lezioni da casa e i sistemi di condivisione, piccola rivincita per chi ha sempre spinto in questa direzione e si è trovato sempre la porta sbattuta in faccia dalla “burocrazia” e dal “ma tanto si è sempre fatto così: meglio così”. 
Però attenzione a farla facile: i dati della pubblica amministrazione (così come quelli di aziende sollecitate allo smart working) spesso sono sensibili, soggetti a gdpr. Sui computer personali di dipendenti e poco civilizzati tecnologici mi viene il terrore. 
Già sollecitare a un backup regolare si viene presi per ridicoli (salvo il vedere disastri di chi viene disperato a chiedere come fare a recuperare lavori importanti andati in fumo con un hard disk inchiodato)… figuriamoci la gestione di normative sulla privacy in cui il garante ha legiferato con abbondanza…
Quanti di quelli che invocano lo smart working sanno se sono in regola col gdpr (qualcuno forse non ne sa nemmeno il significato).
Luigi Lupo, che ne dici, mani nei capelli o si farà un decreto legge per dire “abbiamo scherzato”?

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